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Tutto intorno a me?

Tutto intorno a me?

Una riflessione sulle chiavi del successo al di là del paradigma dell’individualismo.

“Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?” 

Quando rivolgo questa domanda agli allievi dei nostri master, raccolgo le loro risposte in tre ambiti: aspirazioni di sviluppo professionale, di realizzazione personale e di responsabilità sociale. Invariabilmente, il terzo gruppo di “sogni” risulta di gran lunga il più povero rispetto agli altri due. Mi sembra una conferma della rilevanza, almeno nel mondo occidentale, dell’individualismo.

Come spiegare ai nostri ragazzi che si affacciano al mondo delle professioni, le ragioni che dovrebbero convincerli a mettere in secondo piano le proprie aspirazioni di carriera e di successo a vantaggio di un bene comune che appare piuttosto aleatorio? Perché un professionista dovrebbe perseguire il bene comune anche quando ne vanno di mezzo i propri interessi personali?

Individualismo e libertà

Per l’individualismo, la libertà, l’indipendenza e gli interessi del singolo prevalgono il più possibile sugli interessi sociali, di gruppo o istituzionali: “io prima di te”!

Esiste un’alternativa convincente al “tutto intorno a me”? Se osserviamo la “natura” dell’io, emerge un’evidenza inconfutabile: il soggetto è sempre generato. Io sono sempre figlio. La realizzazione di questo io-figlio si compie nelle relazioni, a cominciare da quella genitoriale, per abbracciare l’insieme delle relazioni che compongono la totalità della vita.

Oggi le relazioni si riducono spesso a una mera questione di mezzi per ottenere dei fini perché la visione dell’uomo dominante è quella dell’individualismo. Comprendere che la persona umana è sempre un io-figlio consente di superare questa logica. Il bene comune ha un fondamento forte perché si basa sul fatto che tutti siamo figli. Questo legame relazionale, che nasce dalla generazione, unisce le persone a livello costitutivo. Esiste, allora, un bene relazionale che emerge rispetto ai fini individuali e soggettivi.

Quali conseguenze ha tutto ciò quando riflettiamo sul lavoro? 

Il lavoro è una dimensione essenziale dell’uomo in quanto essere relazionale: è una relazione sociale in senso pieno e non solo nella sua valenza economica. Il lavoro definisce socialmente la persona che lo svolge ed è essenziale per il suo sviluppo e per la sua appartenenza sociale. Il soggetto realizza direttamente il suo valore di persona nella sua attività lavorativa nella misura in cui rispetta e promuove il valore di persona degli altri.

La dicotomia tra interessi personali e bene comune può essere superata perché nel bene comune sono integrati gli interessi personali. Se il senso ultimo del lavoro è la realizzazione della propria vocazione personale alla vita felice, gli obiettivi del lavoro professionale possono essere integrati nella promozione e nello sviluppo delle relazioni vitali che integrano in modo essenziale la vita del soggetto. “Personale” vuol dire sempre “relazionale”.

La realizzazione relazione passa attraverso il bene comune

Il bene comune nell’ambito professionale non è, allora, il frutto di una rinuncia ai propri interessi, ma la via per comprendere che la piena realizzazione del soggetto, la felicità, anche nel mondo del lavoro, è sempre una realtà relazionale che abbraccia tutte le dimensioni vitali. Il successo professionale non è un successo individualistico ristretto al solo ambito della “carriera”, ma un “successo relazionale” che integra le diverse dimensioni della vita personale: familiare, professionale e sociale. La felicità supera così la concezione ideologica di una realizzazione autoreferenziale per abbracciare l’orizzonte della realizzazione relazionale.

di Enzo Arborea

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