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Dal sapere “come fare” ad “imparare come”: re-skilling, up-skilling e human skilling

Il processo di automatizzazione e competenze lavorative

Ogni volta che l’uomo interagisce con un nuovo processo di automazione si sente minacciato perché teme che la macchina, instancabile e precisa, potrebbe possa facilmente sostituirlo nel proprio lavoro rendendo superfluo il suo contributo. Se da un lato ci sarà una riduzione dei dipendenti full-time come conseguenza dell’automazione, è altrettanto vero che ci si aspetta la creazione di nuove figure professionali per oltre il 25% dell’attuale forza lavoro (World Economic Forum, Future of Jobs Survey 2018). 

Per rimanere competitivi nel mercato del lavoro e per supplire alla mancanza di competenza adeguate, si richiede innanzitutto una formazione e una preparazione professionale massiva della forza lavoro (vecchie e nuove generazioni).  

Le competenze saranno sempre di più la vera valuta del mercato del lavoro poiché rispecchiano in modo più dettagliato e approfondito l’effettiva adeguatezza del lavoratore alla professione. 

Per l’OCSE il 14% della forza lavoro è “a rischio significativo di automazione”. L’Italia, in particolare, appare in ritardo rispetto agli altri Paesi europei: nel nostro Paese solo il 17% delle imprese fa formazione per sviluppare o aggiornare le competenze dei propri dipendenti in ambito ICT, a fronte di una quota che in media nell’area euro che è del 24%, in Germania e UK del 30% (OCSE, 2018). Inoltre, in Italia solo il 30% dei lavoratori che rischiano significativamente di essere rimpiazzati dalle macchine ha partecipato a programmi di formazione negli ultimi dodici mesi (OCSE, 2019). 

Il re-skilling e l’up-skilling: nuove leve d’azione per l’employability

Stando così le cose, è più che mai urgente riflettere su nuove strategie di re-skill e up-skill e sulla loro attuazione. Si tratta di due facce della stessa medaglia, la cui differenza è sottile: re-skilling significa aggiornare e potenziare (riposizionando) le competenze che stanno evolvendo, per effetto dello sviluppo tecnologico o per altri fattori esterni, al fine di migliorare il lavoro che la persona svolge oggi; up-skilling significa potenziare (insegnando o apprendendo) nuove competenze per allargare le conoscenze e le abilità di una persona, con l’obiettivo di cambiare tipo di lavoro o mansione.  

Dal punto di vista del dipendente è importante ricevere una formazione continua per evitare il rischio di divenire obsoleto. L’obiettivo finale è di essere sempre potenzialmente “impiegabili” (incrementare l’employability), non solo con le grazie alle competenze che possono interessare un’azienda, ma anche dimostrando di essere desiderosi di apprenderne di nuove, così da rendere più breve il tempo necessario per passare a un nuovo ruolo. 

L’aggiornamento formativo nei contesti aziendali

Uno dei limiti principali risulta essere il tempo che i dipendenti devono dedicare alla propria formazione, che spesso rappresenta tempo “rubato” alle normali attività lavorative. Per questo motivo sono da prediligere programmi che aiutano i dipendenti a svolgere attività formative, durante e dopo le attività lavorative, in un arco temporale più ampio, senza tuttavia compromettere l’equilibrio vita-lavoro. Si pensi a tal proposito al noto progetto MAAM – Maternity as a Master lanciato dalla startup Life Based Value e dedicato a genitori con figli da 0 a 3 anni che trasforma l’esperienza della genitorialità in un’occasione per sviluppare meta competenze. Allo stesso modo, l’Open education e le lezioni online accessibili a tutti, i cosiddetti MOOC – Massive Open Online Courses, offrono nuovi modi di acquisire e diffondere il sapere, e sviluppano competenze lungo tutto l’arco della vita (OECD, Skills Outlook 2019 Thriving in a Digital World). Creare una cultura in cui apprendere implica un profondo e radicale cambiamento sociale, istituzionale e, soprattutto, mentale. 

Le competenze del manager nell’era del digitale

Che tipo di competenze servono ad un Manager nell’era dell’intelligenza artificiale? 

L’unica cosa che ci rimane è essere umani, cioè fare le cose che le macchine non sono in grado di fare: problem solving, troubleshooting, gestione dell’ambiguità e poi una su tutte pensiero critico, saper fare le domande giuste!  

Nella nota ricerca di Pwc sui quattro mondi possibili (PwC, Workforce on the future2017) un’ipotesi interessante è quella che vede la forza lavoro calata nella realtà del “mondo giallo”, uno scenario in cui le Human skills (Humanness) sono le qualità più ricercate e in cui lavoratori e consumatori cercano organizzazioni che abbiano un fondamento e una rilevanza sociale.  

Per human skill si intende propriamente un tocco umano, come innovazione e creatività, pensiero critico e problem solving, intelligenza sociale e affidabilità, empatia e, d’altro canto, meta competenze, quegli insiemi di competenze e attitudini come flessibilità, capacità di iniziativa e leadership.  

Al di là delle ipotesi sulle realtà del futuro, ciò che emerge è l’importanza di pensare ad una formazione in cui, accanto all’upskilling e al digital reskilling, si acquisiscano o si riscoprano le competenze “umane” e si potenzino le meta competenze che possono offrire un vantaggio occupazionale di lungo periodo. 

Alcune idee per mettere all’opera il cambiamento

Ma come fare tutto ciò? Innanzitutto è importante analizzare le attività svolte per capire se e in che misura potrebbero essere automatizzate: partendo da queste considerazioni è possibile pianificare e sviluppare strategie nuove per rendere creativi i task più ripetitivi, imparando a valorizzare lo “human touch”. Ad esempio, in tutti i lavori dove c’è una relazione diretta con il cliente finale (banche, ospedali, vendite al dettaglio, ecc.), una volta che documenti e affari amministrativi saranno automatizzati, si potrà passare più tempo nella cura del cliente stesso. In un’epoca in cui la personalizzazione fa la differenza e rende competitiva un’azienda piuttosto che un’altra, la componente umana sarà super valorizzata. 

A livello sociale, la metamorfosi necessaria si può riassumere in una breve formula che deve spingere la cultura attuale del “sapere come” in una cultura futura dell’“imparare come”. 

di Andrea Iovene

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